sabato 5 giugno 2010

SULLA SPIAGGIA


“Soffro nel vederti compiere strane movenze indotte da un burattinaio scaltro….” Suonava il suo mp3.
Il sole arancione del tardo pomeriggio disegnava lunghe ombre di ombrelloni chiusi. Lance affilate che lambivano le sue gambe nude, stese sulla sabbia a ricevere gli ultimi caldi raggi del sole.
La musica accompagnava i suoi complessi e confusi pensieri.
Una matita, ormai senza punta, tra le sue dita, raccoglieva fedelmente su un quaderno improvvisato, quel che restava dei suoi pensieri.
Si rese conto che ormai le piccole onde, con il loro ritmo costante, avevano levigato non solo la battigia, ma anche l’asprezza dei suoi ricordi e dei suoi sentimenti. Tutto confluiva in un unico calderone, dove ormai tutti i fatti degli ultimi mesi assumevano colori uniformi, come mescolati dal tempo e dal suo stesso, continuo, cavillarci sopra.
La tavolozza, una volta carica di colori chiari e scuri distintamente separati, assumeva ora la tipica mescolanza di infinite sfumature che, viste con un occhio poco allenato e attento, sembravano un unico grigio.
Questo era quello che accadeva alle sue emozioni. Un unico colore: grigio. Ma questo si percepiva senza un’accurata analisi, a prima vista. Se solo si provava a scavare sotto i pochi centimetri di sabbia che il mare rende liscia al passare dell’onda, si trovavano inattese sorprese.
E proprio di quelle sorprese aveva paura…
Bendò i suoi occhi e le sue orecchie per non guardare e non sentire.
Il silenzio assordante la uccideva. La stava lentamente consumando. Inesorabilmente, mentre le lacrime corrono a fiumi. Solo dentro il suo cuore. Fuori tutto calmo. Calma apparente. Nessuno deve sapere e capire cosa mai si agita dentro la sua esistenza.
Non era quello che aveva sognato. Avrebbe voluto trovare delle risposte. Ma ogni volta che si avvicinava a una risposta, questa le sfuggiva…
Eppure un giorno qualcuno le aveva detto “ Non tutto il mondo ha bisogno di risposte”.
Quando si sentiva perduta, ripeteva a se stessa questa frase, cercando di convincersi del suo significato più profondo.
La aveva annotata sulla copertina de “Il procuratore”. Il primo posto dove aveva potuto scriverla, quella sera in cui, sentendola pronunciare da R., la sentì come una freccia che la trafiggeva. Se la sentì calare addosso come un vestito su misura, come un guanto caldo per le fredde giornate d’inverno.
Da quel giorno aveva cercato di farne un fondamento.
E in qualche maniera c’era anche riuscita. Ma quanto era dura!!
“Magica quiete, velata indulgenza, dopo un’ingrata tempesta. Riprendi fiato e con intenso trasporto, celebri un mite e insolito risveglio…” continuava a cantare Carmen Consoli nel suo mp3. La musica aveva spesso accompagnato i suoi stati d’animo, quasi inconsapevolmente. Giungeva da sé, senza che lei scegliesse di ascoltare un brano piuttosto che un altro. Era anche questa, una parte della magia della sua vita. E adesso sì che le risposte non c’erano.
Ed era assolutamente inutile cercarle.
Ancora una volta R. aveva avuto ragione.
E i fatti lo dimostravano, giorno dopo giorno.

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