giovedì 3 giugno 2010

PIOVE


Piove. Piccole gocce di pioggia che quasi non riescono a bagnare l’asfalto ancora arroventato dalla calura estiva. Mesi senza neanche una stilla. Lunghi mesi di caldo, afosa canicola estiva senza un filo d’aria. Tutto fermo, immobile. Tutto tace, solo il rumore di una bicicletta che avrebbe bisogno di un po’di manutenzione interrompe il silenzio della strada. Un gatto annoiato attraversa sulle strisce noncurante della bicicletta che si avvicina, certo di un diritto acquisito grazie al posto che occupa. Piove. Il silenzio è ora interrotto da un tuono lontano.
Ricordi di fanciullezza. Quando piove si esce con gli stivali di gomma. Rossi sono quelli preferiti. Il piede avanza lentamente per misurare la profondità della pozzanghera e quando è sicuro che la caviglia non vi sprofonderà si concede un tuffo e l’acqua si rimescola, perde il suo colore originario e ne assume uno nuovo, diverso, ugualmente affascinante. Pagliuzze dorate galleggiano in superficie e si muovono disordinatamente. Ah, che bello. Non c’era niente di più bello allora, quando, infilati gli stivaletti rossi, si correva a saggiare le pozzanghere nella strada davanti casa. Solitamente ricoperta da chiara polvere sottile, simile alla cipria che usano gli attori in teatro. La strada ora diveniva un grande parco divertimenti dove si faceva a gara ad entrare nella pozza più grande, più profonda, vergine. Prima di tutti gli altri .
Poi, sul più bello una voce ti richiamava alla realtà e ti invitava a rincasare, che era già passato un monte di tempo ed era l’ora di pranzo. Quando andava bene la tavola era già apparecchiata, altrimenti dovevi farlo tu. Che noia aiutare in casa! Piove. Erano mesi che non pioveva. L’odore della terra bagnata non è molto diverso da quello che sentivi da bambino.
La rosa gialla nell’angolo del giardino è un po’ più grande, un po’ più storta, ma è ancora lei. Quella che piantasti quel giorno sfilandola lentamente e con cura dal vaso per metterla a dimora nella terra fresca, con amore e tenerezza.
Piove.
Io sono arrivata.
Tu dove sei? Aspetto.
Aspetto e mi domando se ho fatto bene a prendere quel treno. Forse era quello giusto. Forse avrei dovuto guardare meglio se c’eri anche tu su quel treno. Magari credevo di trovarti sopra. Invece eri altrove. Potresti sempre comparire all’improvviso, da dietro l’ angolo, e sorridere, come se fosse la prima volta. Potresti. Forse. Devi decidere tu. Se la porta scorrevole si apre puoi decidere di non salire sul treno. Sappi tuttavia che sarà solo tua la scelta. Io sono già sopra quel treno.
(24.02.2007)

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