sabato 5 giugno 2010

UNA MANO SULLA SPALLA

“Se tu credi che questa sia la strada giusta, prego! Accomodati pure!” Si voltò dall’altra parte, alla ricerca di un obiettivo, su cui fissare lo sguardo, diverso da qualsiasi cosa lo riguardasse. Nulla in quella casa assomigliava a quello che stava cercando. Tutto parlava di lui. Uscì di casa chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle. La notte era fresca e silenziosa. In lontananza un gatto frugava tra i resti della cucina del ristorante, chiusi in sacchi neri e lasciati fuori della porticina sul retro. Attratta da quel rumore, diresse lo sguardo verso la stradina buia e scorse un gruppo di gatti annoiati che si aggiravano apparentemente senza un evidente interesse, attorno alla fonte di cibo. Cercava attorno a sé qualcosa che fosse degno di nota, dentro il quale intrufolare i suoi pensieri, che li allontanasse da lui e da quanto era accaduto dentro quelle mura. Niente sembrava degno di nota e di interesse in quella notte di luna piena che odorava di fiori di pitosforo. Il clima mite della bella stagione appena iniziata invogliava a stare fuori anche la sera. Soprattutto la sera, quando i rumori della città lasciano il posto al silenzio elle creature della notte. E il silenzio era carico di suggestioni, di rumori ovattati che stentavano a uscire allo scoperto e manifestarsi ai visitatori della notte. Sedette sul muro che fiancheggiava il fiume e lasciò penzolare le gambe, come due sciarpe stese a un filo ad asciugare, nel vuoto. L’acqua scorreva lenta, silenziosa. Uno strano desiderio di lasciarsi andare, di lasciarsi cadere nel vuoto di quella notte silenziosa e profumata di primavera. “Tanto che potrà mai essere? Un salto nel buio e poi il nulla….” Infinite volte pensato da adolescente, e ora, ancora una volta, si affacciava il desiderio dell’annullamento. Del chiudere una porta. Ma una porta che rappresenta proprio il passaggio tra il dentro e il fuori, tra il buio e la luce tra l’essere e il non essere. Voleva aprire quella porta e lasciarla socchiusa. Non intendeva richiuderla dietro di sé, nonostante quel tipo di passaggio doveva necessariamente, per definizione, essere definitivo. Dietro le spalle una presenza la fece trasalire e tornare indietro da quel pensiero di sola andata verso l’ignoto. Una mano, poggiata sulla spalla, come quella di un padre premuroso, di un fratello comprensivo, di un tenero amante. Non si voltò. Era certa che fosse lui. La aveva ritrovata a distanza di alcune ore e centinaia di metri da casa. Un’auto parcheggiò proprio dietro di loro. La radio a tutto volume “…ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle giustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura naturalmente attirerai….” suonava nella notte.
(26.07.2007)

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