mercoledì 23 giugno 2010

E' OTTOBRE

"A mezzanotte sai, che io ti penserò….”
Suonavano, nel silenzio della notte appena incominciata, le note dalla sua radio.
Prese il suo libro preferito. Quello che aveva già letto tante e poi tante volte da farlo diventare quasi un quaderno di uno scolaro delle elementari. Quante orecchie d’asino! Quante note a fondo pagina! Le piaceva sottolineare con una matita e chiosare le frasi che le rimanevano impresse durante la lettura.
Poi, durante il giorno o nel tempo, tornava su quelle pagine. Le accarezzava, come si sfiora una rosa appena sbocciata, un neonato, un quadro a olio, una scultura di marmo.
Le accarezzava con il cuore. Le leggeva e rileggeva, come le parole di un tenero amante. Come una dedica impressa a fuoco sul cuore. Le faceva sue. Diventavano sue, tanto le aveva lette e rilette. Come se le avesse partorite, generate lei stessa.
Aprì la bottiglia di vino bianco acquistata il giorno avanti e si abbandonò sul divano di velluto grigio, con il bicchiere pieno fino all’orlo. Uhm….buon vino bianco ghiacciato….E il bicchiere non era solo mezzo pieno. Era pieno davvero, come era pieno il suo cuore in quel preciso istante. Toccava il cielo con un dito. Era lì. Sola. Con la sua lettura preferita. Con il suo nettare. Con il pensiero leggero e lieve di chi si abbandona totalmente a quello che accade. Con il giusto distacco dal resto del mondo. Solo lei e il suo libro. Aprì a pagina cinquantatre. Lesse le prime righe. Chiuse gli occhi sentendosi parte di quel racconto. Accarezzò le sue gambe, sentì un brivido. Non era il freddo.
Decise di non prendere le distanze da quella storia. Decise che volontariamente ci si era infilata e che solo involontariamente ne sarebbe potuta uscire. Era una sognatrice. Una sciocca sognatrice.
In quello che faceva, leggeva, diceva, sentiva, viveva, ci metteva tutta se stessa.
Spesso a discapito del suo piccolo e fragile cuore. Troppe volte spezzato Troppe volte frantumato e riaggiustato. Troppe volte calpestato.
Ma era semplicemente, meravigliosamente, felice e orgogliosa della sua tenera fragilità. Mille volte messa alla prova, altrettante volte ignorata, spesso anche compresa e apprezzata. Era lei. Era così. Prendere o lasciare.
Il vento aumentava col passare dei minuti. Le porte e le finestre sbattevano rumorosamente tanto da farla alzare, controvoglia, per andare ad affrancarle. Si affacciò alla finestra che volge a sud e intravide una barca a vela. Sembrava in difficoltà. Il vento incalzava e il mare gonfiava a vista d’occhio. Poco meno che una tromba marina. Ci mancava davvero poco. I capelli le si ingarbugliarono come la lenza di un pescatore inesperto, di fronte alla fulminea folata che la schiaffeggiò appena aprì il vetro.

La furia dei venti in questa stagione è improvvisa e forte come la frusta di un domatore di fronte al terribile felino. Forte e deciso come solo il mare sa essere. Impetuoso e irruente come solo il vento può essere. Elementi affascinanti e imprevedibili. Imponderabili e improvvisi come il bacio di un ragazzino rubato alla sua amica del cuore. Come il volo di un passerotto che lascia il nido per la prima volta.
Temette, per qualche minuto, per la sorte dell’equipaggio e della barca stessa, ma presto l’imbarcazione si mise al riparo nella piccola baia.
Tornò sul divano. Il libro sulle gambe stese. Le pagine aperte sulla pelle nuda. Una carezza inattesa. Sentì una mano calda che le sfiorava la pelle e un altro brivido la attraversò.
E’ ottobre. Il mese dei tini grassi come pance piene. Il mese dell’abbondanza. In cui si raccolgono i frutti del lavoro dell’uomo. I frutti del sudore, e del sole. Quel sole che per tutta l’estate è stato alto e splendente in cielo. Quel sole che le aveva scaldato la pelle. Lo stesso sole che ora fa capolino, di tanto in tanto, tra i nuvoloni neri che annunciano tempesta.
E’ ottobre. Il mese dei funghi. Quei meravigliosi doni del sottobosco, nascosti agli occhi indiscreti del cercatore irrispettoso che va per boschi, ma che si svelano a coloro ai quali sentono di poter affidare la loro meravigliosa bontà. E’ legge di natura.
E’ così e basta.
Non puoi spiegare razionalmente perché un fungo rimane lì fino a quando non lo trovi tu…. Significa solamente che quel fungo era lì per te, e ti stava aspettando. Allora lo accogli tra le tue mani e lo ami. Lo guardi e lo riconosci come un dono. Lo accarezzi come un ginocchio ammaccato, lo pulisci come la mano di tuo figlio, che in lacrime corre da te dopo essere caduto a terra, in cerca di conforto.
E’ ottobre. Mese in cui, dopo l’estate, si immette l’autunno e saluta la stagione passata con un inchino, e con un sorriso la accompagna altrove. Inutile aggiungere altro.
E’ ottobre. E lei da questo mese si aspetta qualcosa. Qualcosa di indecifrabile e indefinibile. Qualcosa che non può capire neanche lei. Un’attesa.
La lunga attesa di mesi, a cercare di capire cosa aspettarsi. L’attesa di qualcosa che lei sa che deve arrivare. Non necessariamente qualche cosa di materiale.
Forse, anzi sicuramente, qualcosa di impalpabile, come l’amore.
Si. Deve essere così.
Quel libro appoggiato cade dalle gambe.
Gli occhi chiusi la accompagnano nell’oblio del sogno.
Del suo personalissimo sogno.
Quello dove c’è posto per due.
Forse.
(6.10.2007)

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