mercoledì 23 giugno 2010

Ti ricordi?

Mi ricordo di quella volta, avevo forse nove anni o dieci, in cui andammo a far funghi. Quanto ero orgogliosa che io, sola tra tre figli, dividessi con te quella passione per i funghi.
E quell’altra, in cui tu non camminavi, ma correvi su per quella stradina stretta e piena di spine. Mi piaceva pensare che solo io e te, avessimo camminato per i piccoli e talvolta improbabili sentieri di montagna per arrivare lassù. C’era un bel sole. I funghi, tanti, erano anche troppo vecchi e ormai impossibile coglierli. Ma sapevi dove si nascondevano. Ecco perché correvi.
C’era una grande voglia di libertà nelle tue gambe forti che percorrevano quelle strade. La stessa che sento io, adesso.
C’era un buon rapporto con la natura intorno, e sapevi cosa significava farne parte.
In tutti i tuoi racconti, sempre da sfondo le valli di casa. Le pietrose mulattiere. Gli odori delle ginestre. I suoni del vento e degli animali. Le voci dei vecchi. Sagge parole che ritornano.
Tutto questo se penso a te.
Ricordo quella volta, in cui eri già ridotto la metà, quando quasi ti costrinsi (eri stanco e affaticato) a salire sulla mia auto nuova. E ti dicevo che aveva l’aria condizionata, la musica, gli alzacristalli elettrici. Entrambi sapevamo che era solo un “pour parler”. Tra noi le parole erano solo una convenzione, che purtroppo è sempre mancata. Quello che per altri sarebbe stato un normale conversare, per noi era sempre una fatica. Un’impresa titanica che richiedeva forze che nessuno di noi possedeva.
Eravamo io e te, in macchina verso il tramonto. Quel tramonto di metà gennaio, che inizia ad essere sempre un pochino più lungo.
Le giornate riacquistavano ogni dì qualche minuto di luce in più. Invece il tuo tempo stava lentamente passando. Ed entrambi lo sapevamo. Nel silenzio. Sempre in questo immenso silenzio che circondava ogni nostro incontro.
E mi dicesti a mezza voce, con un filo di vergogna e di emozione allo stesso tempo, “ Ho fatto una pazzia…”.
“Cosa hai fatto?”
“Ho fatto pubblicare un libro con i miei racconti…”
“Bella storia papà….perchè dici che è una pazzia?”
“Mah, non so….Mi costa un sacco di soldi, ma ho deciso di fare lo stesso questa cosa. Ci stavo pensando già da un po’, e adesso ho deciso che volevo togliermi questo sfizio, questa soddisfazione…”
“Bravo pa’…Hai fatto proprio bene!!! Non dire che è una pazzia! E’ solo una cosa bella che hai fatto bene a fare!”
Eri davvero felice. E quando tu eri felice, si intravedeva appena la tua felicità….ma io lo sapevo.
E quel giorno in cui andammo a Livorno a ritirarli, in tipografia….
Quanto orgoglio, il mio!
Poi il tempo è maturato.
I fiori sono appassiti.
Di nuovi ne sono nati.
Per due mesi, i miei sonni sono stati interrotti da infinite veglie.
Per due mesi a metà notte il pensiero.
L’ansia, l’angoscia, la paura, la tristezza, l’impotenza di fronte a tutto il tuo dolore.
E miei occhi guardavano la sveglia. Illuminata di verde. Sempre gli stessi numeri.
Quattro. E poi le stesse due cifre, comprese tra quattordici e ventuno.
Sapevo che era un messaggio.
Qualcuno mi stava preparando.
Ma io non sono pronta! Non posso sentirmi pronta…adesso…. Come faccio?????
Il sedici aprile sei andato. Seguendo la strada di luce che era entrata nella stanza alcuni minuti prima.
Io ho sorriso. Era finita così.
In un istante.
Stop!
E quella lettera…l’unica che mi hai mai scritto. Proprio nel momento in cui io ti stavo dando un dispiacere immenso. Una bocciatura a scuola, servita su un vassoio di piombo. Tu trovasti le parole per dirmi che qualsiasi cosa io avessi fatto, sarei stata ai tuoi occhi la figlia amata non meno di un terzo rispetto agli altri due, o qualcosa del genere…
Una strana formula algebrica, che ora non ricordo con esattezza, ma che mi fece capire che le parole spesso sono cariche di significati diversi, secondo chi le legge. Per me quella bocciatura aveva il sapore amaro di una sconfitta. Non tanto per me, quanto per me di fronte ai tuoi occhi. Tu invece riuscisti a sdrammatizzare il momento, con semplici frasi di amore e di incoraggiamento. Grazie papà. Te lo dico forse solo ora. Tardi, lo so. Ma grazie lo stesso.
Buon compleanno, lassù….sono sessantanove autunni. Non primavere. Ottobre è il tuo mese. Quello della vendemmia e delle olive. Dei funghi e delle castagne. Il tuo mese pa’…. Ciao. K.

(10.10.2007)

1 commento:

  1. 11/10/2007 09:15:35
    bellissima lettera d'amore...sai toccare veramente il cuore... grazie di esistere pulce... Al
    lupakiotto11/10/2007 17:46:38
    Mi hai fatto venire il groppo in gola che mi faceva male il pomo d'Adamo! Forse perché anch'io sono nonno, ma mi sono immedesimato ... chissà cosa direbbero le mie figlie? Ma soprattutto, chissà se riuscirò ad affrontare quei momenti con serenità e fiducia e trasmetterla a chi mi è intorno? Grazie!
    Klondike man12/10/2007 07:38:08
    il nostro cuore sanguina ancora ... se c'è qualcosa, un desiderio, un sogno che nella sua vita non ha avuto il tempo o la fortuna di realizzare, fallo tu per lui. te lo farà sentire ancora più vicino. un bacio
    greenworld33

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